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Blocco ai varchi del porto di Genova del 25 giugno – report della giornata
Martedì 25 giugno, una grande e significativa giornata di lotta attorno al porto di Genova, contro tutte le guerre ed il genocidio in Palestina.
Dalle 6 di mattina centinaia di manifestanti hanno presidiato e bloccato il Varco di San Benigno, uno dei principali accessi commerciali, e il limitrofo Varco Albertazzi, principalmente destinato a passeggeri e merci che viaggiano sui traghetti. L’obiettivo della mobilitazione era preciso: fermare la logistica di guerra e bloccare il porto.
Pertanto appena i numeri dei presenti sono cresciuti ci si è potuti dividere per raggiungere anche Varco Etiopia, dove il dispositivo di sicurezza e la celere avevano chiuso i cancelli, di recente installazione, forse timorosi di un possibile ingresso nell’area portuale. Poco importa, di fatto i manifestanti hanno determinato e mantenuto il blocco anche di questo terzo varco.
Col passare delle ore i due presidi contemporanei si sono ingranditi, altri manifestanti sono riusciti ad arrivare, nonostante il traffico fosse paralizzato dalle code dei tir, con ripercussioni fin sulle autostrade e sull’intera mobilità nei dintorni. Difficile fare una stima del numero dei presenti, essendo distribuiti in due luoghi tra loro distanti e con continui nuovi arrivi, ma sicuramente la partecipazione è stata di un migliaio e più di persone che hanno raccolto con determinazione la chiamata, compreso e fatto proprio lo spirito della giornata.
Questo ha permesso, verso le ore 12, che un folto corteo partisse verso il Varco di Ponente, per bloccare il quarto accesso e compromettere ulteriormente l’attività del porto. Il corteo ha attraversato le vie del quartiere di Sampierdarena, ha raggiunto la rotonda del varco, trovandolo presidiato da uno schieramento di celere, ha quindi deciso di imboccare altre strade e sfilare di fronte alla sede di Leonardo in cui si trova il supercomputer DaVinci1, lasciando segni del proprio passaggio a colpire e ricordare le responsabilità di chi lucra e fa profitto sulle guerre, sulle armi, sul genocidio. Nelle ore successive il corteo è tornato verso i primi varchi bloccati e intorno alle ore 16 tutti i manifestanti si sono riuniti a Varco San Benigno per poi dirigersi assieme in corteo verso il centro città e chiudere questa lunga e importante giornata.
Per la prima volta, dopo i precedenti blocchi del 10 novembre e del 23 febbraio, si è riusciti a bloccare più varchi contemporaneamente, per tante ore, infliggendo un serio danno economico ai padroni della logistica e della città. E allo stesso tempo aggiungendo un grande tassello nella direzione di una più ampia mobilitazione contro la guerra.
La partecipazione alla giornata ha rispecchiato l’eterogeneità dell’assemblea cittadina che la chiamava: compagne e compagni, attivisti, giovani palestinesi, portuali, studenti, lavoratori, sindacati di base. Un migliaio di persone arrivate da Genova e da tutta Italia, che hanno sentito l’urgenza di schierarsi contro le guerre e contro il genocidio in corso in Palestina, che si sono assunte la responsabilità della giornata, che hanno collaborato affinchè tutto funzionasse bene, anche nella difficoltà di dividersi tra più presidi senza lasciarne alcuno sguarnito.
Martedì 25 giugno, grazie a tutte e tutti i presenti, è stata una bella e fortificante giornata di lotta.
Avanti così!
Assemblea contro la guerra e la repressione – Genova
La guerra comincia qui (manifesti in inglese, francese e arabo)
Manifesti a Carignano contro l’agenzia marittima Delta, mandataria della compagnia saudita Bahri
In solidarietà agli indagati per associazione a delinquere
Solidarietà è lotta
Il 24 febbraio la Digos Genovese ha perquisito 5 aderenti al Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP) e a “Genova Antifascista”. L’ipotesi investigativa della Questura è quella dell’associazione a delinquere (art. 416) finalizzata a contrastare la presenza fascista in città e il traffico di armi nel porto di Genova, con particolare riferimento alla lotta contro il transito delle navi della compagnia saudita Bahri, con il suo carico di armamenti destinati alle guerre.
Esprimiamo la nostra solidarietà ai compagni indagati, non solo perché riteniamo giusta e legittima la lotta contro i fascisti e contro ogni guerra, ma perché in quelle lotte – nelle sue tante occasioni – eravamo insieme.
La Questura tenta di rappresentare queste lotte come opera di un ristretto gruppo di persone che ne “strumentalizzano” altre, e questo tentativo non deve passare.
Oltre alla doverosa solidarietà, vale forse la pena riflettere sul significato di questa operazione.
Questura e Procura non fanno che il loro abituale lavoro ma non si può non rilevare che un’inchiesta con ipotesi associativa basata su reati per lo più commutabili in multe come il “lancio di oggetti” e “l’accensione di materiale esplodente”, risulta un po’ una forzatura. Non sarà che ci si vuole liberare di un gruppo di lavoratori combattivi che, in questi anni, ha creato non pochi grattacapi ai padroni del porto e, in certa misura, ai sindacati? Non ci sarà, dietro la Digos, la mano padronale in un porto sempre più terra di conquista delle multinazionali? Magari la mano dell’Agenzia marittima Delta (Gruppo Gastaldi), mandataria della Bahri, che non fa che lamentare – con lettere ed esposti – di non poter tranquillamente svolgere i suoi traffici a causa del Calp?
Per i padroni è molto meglio che il rapporto di classe rimanga stretto e costretto entro limiti precisi e dentro il sindacalismo collaborazionista: le ipotesi di iniziativa autonoma vanno circoscritte e, se necessario, represse.
I questurini accusano gli indagati di aver modificato artifizi pirotecnici in modo da renderli «micidiali», per poi – sostengono – indirizzarli contro le navi Bahri in ingresso in porto.
Che strano! Noi pensavamo – se le parole hanno ancora un senso – che «micidiali» fossero le bombe, i carri armati, gli Apache, che le Bahri da anni consegnano alla monarchia saudita (per la guerra in Yemen), al regime autoritario turco (per la guerra in Siria), alla democrazia indiana (per la guerra in Kashmir).
Ma questa operazione manda anche un altro messaggio. Se la lotta esce dai limiti del consentito, se si tenta di creare dei problemi reali ai fascisti (ci pare che dopo gli scontri di piazza Corvetto del maggio 2019 non si siano più granché visti in giro) o alla logistica militare e alla guerra (ricordiamo che le navi Bahri continuano a transitare in porto con il loro carico di morte ma non ne imbarcano al Genoa Metal Terminal dal primo blocco e sciopero del maggio 2019), se si prova ad essere efficaci, insomma, si entra nel campo dell’illegalità, si diventa delinquenti.
Niente di nuovo, ma è bene sottolinearlo. Non solo la Legge è arma del nemico di classe e mai è stata ne mai sarà strumento dei proletari contro i loro sfruttatori, ma è proprio su questo piano che va intesa la solidarietà, che è reale solo se si pone l’obiettivo di continuare la lotta, individuando i modi in cui si può davvero e ancora impensierire il nemico. Andare avanti quindi, senza lasciare indietro nessuno.
Le guerre sono sempre motivate dalla necessità di controllare i territori per accaparrarsi le risorse necessarie alle società democratiche occidentali e non ci si può nascondere che – accanto ai soliti petrolio, gas e manodopera a basso costo – la presente digitalizzazione della società e automazione del mondo del lavoro, oltre a peggiorare le nostre condizioni materiali e la stessa possibilità di restare umani, produrranno nuove guerre, profughi e devastazioni ecologiche per saccheggiare quei metalli rari così indispensabili alla transizione tecnologica.
Quando un ex dirigente di Leonardo come Cingolani diventa ministro alla Transizione ecologica, un ex ministro degli Interni come Minniti direttore di MedOr (nuovo centro studi di Leonardo sul Medio Oriente), un generale dell’Esercito come Figliuolo diventa Commissario Straordinario all’emergenza Covid e l’ex Capo della polizia Gabrielli ottiene la delega ai Servizi segreti, dovrebbe saltare agli occhi l’intreccio profondo tra apparato poliziesco-militare e il settore dell’industria bellica, così come la prospettiva di gestione statale delle potenziali tensioni sociali in epoca Covid: guerra alla popolazione come possibile nemico interno, a cominciare da chi non abbassa la testa. Dovrebbe saltare agli occhi che le guerre – e quindi l’opposizione ad esse – riguardano certo i reazionari monarchi sauditi e il regime di Erdogan ma esse sono prima di tutto un affare per i padroni di casa nostra, interesse strategico delle democrazie, e sempre più orizzonte del mondo che abitiamo e delle relazioni sociali che ci vengono imposte.
A chi guerre e ingiustizie risultano insopportabili, a chi non si rassegna ma vuole continuare ad agire restano gli strumenti di sempre: analisi della materialità e tensione etica, sguardo critico e azione diretta: mani, mente e cuore.
Fuori da ogni Codice.
La solidarietà è nella lotta
Antimilitaristi e antimilitariste a Genova, marzo 2021