testo distribuito in piazza al presidio/corteo del 24 aprile 2021 e al presidio per l’inizio del processo a 50 antifascisti/e per i fatti del 23 maggio 2019
Cosa ci aspetta….
Il 27 aprile presso il Tribunale di Genova – dislocato ai Magazzini del Cotone – inizierà il processo per i fatti di piazza Corvetto del 23 maggio 2019. Cinquanta imputati sono accusati, a vario titolo, di essersi opposti al comizio elettorale di Casa Pound, e alle guardie che lo difendevano. Crediamo sia necessario e doveroso difendere e rivendicare il significato di quella giornata di lotta, riportarla in strada, proprio per impedire il tentativo della Questura e della Procura di rinchiuderla nelle anguste aule di tribunale. Vogliamo ribadire a chiare lettere che a Corvetto c’eravamo tutti e tutte e che i 50 antifascisti a processo non saranno lasciati soli.
Scegliamo di farlo il 24 aprile, e non il 25, per ricordare anche che nel 1945 la Genova antifascista e proletaria si è liberata da sola, senza aspettare, iniziando i combattimenti e l’insurrezione già dalla sera del 23 aprile e giungendo alla resa dei nazisti il 24 aprile. Dal maggio 2019 sono passati due anni e crediamo anche sia il caso di riprendere il filo di quel periodo, visto che l’attuale “emergenza Covid” rischia di offuscarne ricordo e significato. In quel maggio il fascioleghismo era al suo apice. La propaganda razzista dava i suoi frutti, con i blocchi degli sbarchi degli immigrati e i Decreti Sicurezza, peggiorando gravemente le condizioni e la ricattabilità dei proletari stranieri in Italia. E’ cambiata la formazione del Governo, ma quelle condizioni no, i padroni ringraziano e le Procure hanno mano libera: lo vediamo bene nelle lotte degli operai della logistica. Il 6 aprile 2019 Salvini viene a Genova e la risposta della piazza sta nel tentativo di bloccare i varchi portuali, turistici e commerciali. Il messaggio è abbastanza semplice: se chiudono i porti alle persone in fuga, noi li chiudiamo alle merci. Il 4 maggio i fascisti fanno la loro adunata a Brignole per commemorare Ugo Venturini, morto nel 1970 dopo gli scontri di piazza seguiti ad un comizio del M.S.I. La Questura schiera gli alari a loro protezione – per la prima volta dopo il G8 – ma non tutto va come vorrebbero: alcuni fascisti sono costretti alla fuga. Quattro compagni vengono denunciati. Il 20 maggio portuali, pacifisti, compagni e compagne bloccano il Genoa Metal Terminal per impedire l’imbarco di armamenti destinati alla guerra in Yemen. Questa lotta, contro la compagnia saudita Bahri, continuerà; ci saranno altri blocchi e da quel giorno, in quel Terminal, non verranno più imbarcate armi. Il 23 maggio Casa Pound vuole svolgere un comizio per le elezioni europee, regolarmente autorizzato, in piazza Marsala. Il legame dei fascisti con la Lega e l’allora Ministro degli Interni Salvini, nonché con la giunta locale – in particolare con l’assessore Garassino e il consigliere Gambino – è noto. Il 23 maggio è anche giornata di sciopero dei portuali e di picchetti ai varchi. Un comizio fascista in pieno centro, nel giorno dello sciopero dei portuali, a Genova, assume ancora di più i tratti di una provocazione.
Quel giorno piazza Marsala è blindata dagli alari, dalle camionette, dalla celere. I fascisti parlano in una piazza vuota, nel fumo dei lacrimogeni, mentre piazza Corvetto è in tumulto. La polizia e i carabinieri caricano gli antifascisti ma la piazza risponde, a più riprese. Chi non partecipa direttamente agli scontri non abbandona la piazza, non scappa. La piazza tiene e si ricompatta più volte e in serata riparte un corteo spontaneo verso la Questura per pretendere la liberazione dei due arrestati che più tardi verranno messi ai domiciliari e rilasciati il giorno dopo.
Per onor di cronaca, nelle cariche viene picchiato dal Reparto mobile, tra gli altri, anche un giornalista. Il fatto desta un certo scalpore nei media: in effetti, di solito è un trattamento riservato ai manifestanti o a chi ha la sventura di finire in caserma o in commissariato. A due anni di distanza inizia il processo a 50 antifascisti/e. Altri 6 manifestanti sono colpiti da un decreto penale di condanna.
In mezzo, il Covid. La zona rossa, il lockdown, i DPCM. La guerra contro il virus è diventata guerra contro la popolazione: a capo dell’emergenza hanno messo un Generale dell’Esercito – Figliuolo –, il Ministro alla transizione ecologica Cingolani è un ex dirigente di Leonardo e l’ex Ministro degli Interni Minniti (uomo dei servizi) passa proprio a Leonardo. Le porte girevoli tra politica e industria di guerra sono un dato di fatto. Draghi, come i suoi predecessori, va a stringere accordi in una Libia in guerra da un decennio e il suo governo di unità nazionale contenta tutti:destra, sinistra, centro, padroni, banche. Il linguaggio della politica, e non solo quello, è militare: da mesi viviamo col coprifuoco, come in guerra. Il Covid uccide certo, ma uccide soprattutto perché il Sistema sanitario è devastato da decenni di
privatizzazioni, perché la salute è ormai una merce e chi la gestisce pensa solo al profitto. Su quanto poi lo stesso virus, e il suo salto di specie, abbia a che fare con l’organizzazione sociale e con lo sfruttamento intensivo della terra e degli animali ci sarebbe molto da dire.
E invece pare che se i contagi crescono sia colpa di chi esce troppo di casa!!
Non sono stati potenziati i trasporti, né la medicina del territorio, anzi, a dimostrazione di quanto gli importi della nostra salute e delle nostre vite, hanno tenute le fabbriche aperte anche nei momenti peggiori, agli scioperi operai hanno risposto mandando polizia ed esercito (e senza quegli scioperi non ci
sarebbe stata alcuna chiusura di fabbriche e magazzini), ai detenuti che lottavano per la loro salute e libertà lo Stato ha risposto con una strage: 14 morti ammazzati. E le carceri ancora continuano a produrre focolai di contagi.
E presto, quando toglieranno il blocco degli sfratti e dei licenziamenti, vedremo quanto i decreti del governo gialloverde e la propaganda fascioleghista avranno prodotto in termini di guerra tra poveri.
Intanto, la repressione colpisce più di prima. Arresti per i sindacalisti più combattivi nella logistica (con l’ignobile richiesta, a Piacenza, di revoca del permesso di soggiorno per chi lotta, Salvini docet), sorveglianze speciali per gli anarchici (anche a Genova), processi per devastazione e saccheggio per i detenuti che hanno partecipato a proteste e rivolte nel marzo scorso.
A Genova, un’associazione a delinquere contro 5 militanti del Calp e di Genova Antifascista vorrebbe fare piazza pulita di alcuni tra quelli che hanno portato avanti le lotte contro il traffico di armi e la guerra, e contro fascisti e razzisti in città.
Si prepara un’enorme ristrutturazione economica, tecnologica, sociale. Mentre ci tengono a distanza e isolati si preparano ad un futuro che assomiglia sempre più ad una distopia. Quali sono i costi, in termini affettivi e psicologici, della solitudine e dell’alienazione imposte? Quali saranno le conseguenze, in termini materiali, di impoverimento, licenziamenti, disoccupazione e sfruttamento portati dall’automazione, dal lavoro “smart”, dall’industria 4.0?
Quali le ricadute di una vaccinazione di massa, con vaccini basati sull’ingegneria genetica, i cui effetti nel lungo termine sono ignoti anche a detta delle stesse case farmaceutiche che li producono? Quali irreversibili avanzamenti nella riduzione della libertà di scelta?
Quali i costi della transizione ecologica, basata su Intelligenza Artificiale, 5G, digitalizzazione della società, che saranno impossibili senza l’estrattivismo dei metalli rari, un’intensificazione dell’aggressione alla natura e senza le guerre per accaparrarsi tali risorse?
Crediamo che la posta in gioco in questo momento vada ben al di là dei singoli episodi repressivi o attacchi padronali. Quella che sta prendendo forma è un’idea di mondo precisa, profondamente classista ed antiumana, mediata dalla tecnologia. Digitalizzare la società e automatizzare il lavoro e renderlo smart, ove possibile, non vuol dire solo risparmiare (per i padroni) posti di lavoro e aumentare a dismisura i costi materiali (umani ed ecologici) ma anche trasportare parte dell’esperienza umana nel virtuale e metterla a profitto, vuol dire costruire un mondo a distanza, in cui saremo sempre più isolati e soli, annullare la nostra coscienza e capacità critica: se la nostra possibilità di incontrarci è sempre più limitata e mediata da divieti e dispositivi tecnologici, limitata diventa anche la nostra possibilità di discutere, confrontarsi, organizzarsi, mettere in discussione il modo in cui ci costringono a vivere. Per questo diventa sempre più urgente non
solo riprendersi le strade ma riprendersi, concretamente, gli spazi per potersi confrontare, per mettere in discussione tutto, per resistere e rimanere umani. Consapevoli che per ricominciare ad esercitare la critica e ad agire, per riappropriarsi dello spazio e del tempo per farlo, occorre proprio rompere tutti quei divieti che oggi ce lo impediscono.
Cosa aspettiamo?
24aprile lungo modificato