DALL’INTERNAZIONALISMO ALLA SOLIDIARIETA’ UMANITARIA o di come la solidarietà si è trasformata in un investimento economico neoliberista e in uno strumento di ricatto in Palestina e non solo. Disponibile presso la libreria adespotos (Genova) o tramite irregolari@inventati.org
La settimana scorsa un comunicato della Libera Collina di Castello ha svelato il progetto della Facoltà di Architettura di ridefinizione dei Liberi Giardini di Babilonia e le mire di qualcuno sugli spazi occupati della Libera Collina. Tali mire erano chiare da tempo, ma sono state esplicitate dopo lo sgombero dell’ex Latteria occupata a dicembre scorso: l’invito – del sociologo Pezzana tramite Good Morning Genova – ad utilizzare lo spazio appena sgomberato dai carabinieri come hub per turisti è stato poi ripreso da GMG stessa che ha “precisato”, sul suo sito web, come rimanessero anche «aperte le questioni legate alla Libera Collina di Castello o ai giardini Babylonia».
Sugli spazi occupati parlano innanzi tutto gli occupanti e su quanto scrive la Collina non abbiamo molto da aggiungere. Ci limitiamo ad esprimere la vicinanza e solidarietà a un posto che frequentiamo e che rappresenta una ricchezza per chi cerca di sperimentare relazioni non mediate dal potere e dal denaro e chi prova a praticare una critica alla società in cui ci è toccato di vivere.
Ciò che ha svelato la Collina ha evidentemente infastidito proprio quelli che su quello spazio, e su buona parte del Centro Storico, hanno sviluppato in questi anni i loro tentacoli, proprio come una piovra. Sorpresa di essere tirata in ballo, Good Morning Genova – insieme al Ce.Sto e ai Giardini Luzzati – che di questi è emanazione, riprende parola sul suo sito, dando un breve saggio di cosa essa rappresenti. E su questo, invece, qualcosa da dire lo abbiamo.
Le occupazioni, secondo GMG, vanno «ridefinite con un accordo che consenta a tutti di incassare un valore»: ma che titolo hanno loro per decidere l’utilizzo degli spazi? Forse sarà sfuggito, ma occupare significa sottrarre spazi alla proprietà e alla legge, riappropriarsi di qualcosa di cui siamo stati privati; in alcuni di questi spazi si cerca di produrre critica e conflitto, non certo di fare cassa. Dare un valore agli spazi occupati suona molto simile a quanto accaduto con la precedente giunta Doria: record ineguagliato di sgomberi, spazi per lo più finiti poi a uso turistico.
«La rigenerazione urbana nulla ha a che fare con gentrificazione e turistificazione»? Non è vero. Checché ne dicano gli urbanisti ne è piuttosto il presupposto e l’origine. Perché un territorio come il Centro Storico possa generare profitto sono necessarie azioni (e relativi fondi) per renderlo attraente a chi deve investire, si deve combattere il “degrado” e stabilire il “decoro”, cioè combattere e progressivamente espellere quella parte di abitanti, storicamente presente nei caruggi (poveri, perdigiorno, piccoli delinquenti), che non rientra nei piani e rappresenta un ostacolo ai tentativi di sostituzione.
La storia locale è nota: banalizzando un po’, “Genova città alternativa per gli studenti” (anche grazie alla nuova facoltà di Architettura di Gardella) permette profitti ai locali notturni e a chi affitta stanze agli studenti, si genera la movida; i grandi eventi internazionali (Colombiadi, G8, Capitale della Cultura) portano miliardi, restauri, pedonalizzazioni, telecamere, vicoli chiusi dai cancelli e tanta polizia. Gli affitti salgono: qualcuno ci guadagna, qualcuno deve abbandonare i luoghi dove è nato e cresciuto. La movida (che non vive senza alcol e droga a fiumi) continua, ma pone dei problemi: schiamazzi, sporcizia, risse… ed ecco ancora telecamere e ancora polizia. Genova more than this e Genova meravigliosa impongono il brand internazionale per attirare turisti: arrivano le crociere, un ridicolo distretto del design e le piattaforme degli affitti brevi, con milioni di turisti l’anno, gli affitti salgono e salgono e i proprietari di case fanno sempre più profitti.
L’opposizione tra rigenerazione e gentrificazione non è altro che la falsa coscienza di quei segmenti di classe media radical chic a cui piace vivere in centro, tra bella musica, comodità e trasgressività, che vogliono ricostruire il tessuto sociale nel senso di sostituirsi al tessuto preesistente (se non porta denaro), che vogliono il turismo ma pretendono una sua regolamentazione e una quota del profitto generato (ve lo ricordate l’affairbnb?).
Preveniamo le banali critiche del tipo: “ma allora non volete migliorare i luoghi che vivete?”. Stronzate: pensiamo piuttosto che i territori si rendano più vivibili con la lotta, mai collaborando con chi li sfrutta e governa.
Se è vero che i Luzzati hanno sempre «collaborato con le controparti amministrative» (proprio tutte in effetti: negli anni hanno invitato dalla sindaca cittadinista di Barcellona Ada Colau, all’amico dei fascisti Garassino, quest’ultimo contestato da antagonisti e anarchici che vennero cacciati dai Luzzati dalla Celere), di certo non lo fanno nell’interesse generale del quartiere o della collettività, che non sono entità omogenee ma attraversate da linee di faglia: nel sistema capitalistico non ci sono interessi comuni ma contrapposti; c’è chi sfrutta e chi è sfruttato, chi amministra e chi è amministrato.
L’intenzione di partecipare all’amministrazione è ben chiara da anni di iniziative, convegni, dialoghi, tra gli ultimi la pubblicazione “Tocca a noi” e la serie “Se fossimo sindac*” e non fa che collocare politicamente i dirigenti di Ce.Sto/Luzzati. Vorrebbero amministrare da sinistra una società fondata sul privilegio e la disuguaglianza, conservare il primo e tenere un po’ più lontana dai loro occhi la seconda, migliorare il loro orticello e soprattutto continuare a garantirsi lauti finanziamenti pubblici, i tanti locali assegnati e ottenere qualche quota di potere in più. Lamentano che si rifiuti il «dialogo» con loro e il motivo è ben comprensibile: non c’è nulla in comune.
Per le stesse ragioni, la rivendicazione (di GMG) di una «deontologia professionale» per il mestiere di giornalista è grottesca. Il giornalismo è una componente centrale delle società democratiche. Pensare di fare giornalismo super partes vuol dire proprio non riconoscere che una parte sta sopra in virtù della subalternità di un’altra, servendo quindi la parte del più forte. A ognuno il suo mestiere, basta non vendersi per quello che non si può essere.
La «professionalità dei servizi offerti», la virtuosità in generale del “privato sociale” sono spendibili come tali solo facendo rimozione completa del ruolo che hanno nella società: un welfare semi-privato, che sostituisce quello pubblico che viene meno, senza mutare ma anzi peggiorando la funzione del welfare stesso come contropartita dello sfruttamento e come disciplinamento di chi usufruisce del servizio.
A tale proposito, per tornare sui Liberi Giardini di Babilonia sarà mica stato un lapsus scrivere “Babylonia” nel comunicato di redazione di GMG? Oppure non tarderanno a nascere babyhub al posto dei giardini tanto per insinuare un altro dei loro tentacoli nel quartiere aspirando a luzzatizzare la città?
Il mutualismo, di cui il Ce.Sto si fa vanto, dovrebbe darsi tra soggetti alla pari: ma cosa c’è di mutualistico nel prendere fondi dallo Stato per gestire uno dei tanti filtri per disciplinare gli immigrati, come i CAS? Cosa c’è di virtuoso nell’integrare nella società soggetti che non potranno che restare subalterni?
Sia chiaro che nel mondo delle cooperative non vi è nulla della cooperazione: vi sono dirigenti e dipendenti (che non hanno le responsabilità dei primi), che poi questi a volte non figurino nemmeno come tali è solo un tratto ulteriore di una pessima condizione lavorativa.
I Luzzati sono senz’altro un modello per qualcuno, non lo neghiamo, e non è difficile immaginarne le ragioni: antifascismo formale sbandierato ai quattro venti, musica alternativa, cittadinismo, economia circolare, vegan-friendly e LGBTQ-friendly, gardening, servizi di solidarietà come mantra, società civile e partecipazione… sono la rappresentazione perfetta dell’ambiente della classe media di sinistra alla ribalta da anni, bacino di voti di PD e accoliti, soprattutto nell’epoca in cui la politica non fa nemmeno più finta di rispondere alle esigenze della popolazione, ma soltanto a quelle dei suoi potenziali elettori, clienti. Del resto, cosa avrebbero da offrire ai proletari che, giustamente, votano sempre meno?
Ora “tocca a loro”, dicono. Se dovessimo guardare a quando ha governato la sinistra, potrebbe quasi sembrare una minaccia. Ma da questi soggetti ci aspettiamo qualche nuova e prevedibile carriera politica, qualche altro pezzo di caruggi risucchiato nelle solite fauci, il tentativo di gestire il malcontento per la turistificazione in corso, finanziamenti e bandi per i loro amici e poco altro.
“Nuova piccola borghesia”, direbbe oggi la canzone…
Nel frattempo, togliete le vostre mani dagli spazi occupati!!