A quasi vent’anni dalla sommossa di Genova contro il vertice del G8 la giustizia italiana e quella europea cercano ancora di far pagare il conto a chi vi ha preso parte. Decenni di galera sono stati distribuiti ai compagni inquisiti, e tutta la vendetta dello Stato si misura ancora oggi, nel tentativo d’estradizione di Vincenzo Vecchi, compagno latitante per 8 anni e arrestato nel 2019 in Francia, a cui resterebbero più di dieci anni da scontare in Italia, proprio per la sua partecipazione alle giornate di Genova 2001. In questi giorni il tribunale deve decidere, ancora, sulla possibile estradizione dopo l’ennesimo ricorso della magistratura francese.
Dopo il processo di Genova, il reato di “devastazione e saccheggio”, derivante dal Codice Rocco fascista ed opportunamente mantenuto dal codice penale repubblicano, è stato usato molte altre volte contro manifestazioni di piazza uscite dai binari dell’innocuo e del prestabilito. Da Milano a Roma, da Cremona al Brennero. Quando la rabbia esplode davvero e un poco della violenza che subiamo quotidianamente torna al mittente, ai suoi responsabili, lo Stato usa tutti i suoi strumenti per colpire chi si ribella.
Di fronte ad un mondo che si regge sul profitto, sulla guerra e sullo sfruttamento, sui manganelli,
la rabbia esplosa a Genova ha piena ed assoluta legittimità, allora come oggi.
E’ forse cambiato qualcosa? Nel mondo ci sono ancora più guerre e milioni di persone ne fuggono: il Mediterraneo e le frontiere sono diventati cimiteri, la violenza della polizia continua ad essere pilastro dell’ordine costituito e il razzismo pervade la società. Le zone rosse di Genova sono state un’efficace esperimento riutilizzato più volte e in più contesti, fino ad arrivare all’attualità pandemica, in cui il campo dell’emergenza è diventato totale, esteso a tutta l’Italia in zona rossa.
Le gestione dell’“emergenza Covid-19” ha messo a nudo i fondamenti di questa società: gli operai mantenuti al lavoro nonostante tutto, per garantire guadagni ai padroni; l’esercito nelle strade a coadiuvare la polizia ovunque; la tecnologia a pervadere ogni ambito di vita, il lavoro, la scuola, le relazioni; una sanità al collasso dopo decenni di aziendalizzazione, sempre per i profitti dei soliti; su tutto la repressione contro chi si ribella, nelle carceri, nei CPR, contro chi lotta, contro i compagni che si organizzano e attaccano i responsabili di una società assassina di cui Diritto, carceri, tribunali sono da sempre pilastri.
Saremo in piazza in occasione dell’udienza di cassazione in Francia per mantenere vivo il filo della memoria della sommossa contro il G8, in solidarietà a tutti i compagni e le compagne in carcere e sotto processo.
Contro l’estradizione di Vincenzo Vecchi
Contro lo stato d’emergenza
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In questo anno 2020 le nostre vite, le nostre abitudini, sono state stravolte e ancora una volta gli aspetti più angoscianti si sono accentuati: la stabilità lavorativa e quella economica, per chi già faticava ad arrivare a fine mese, ridotte di nuovo.
Quel poco di socializzazione e di incontro con altri individui che si poteva avere nelle piazze, nei bar, sul luogo di lavoro o a scuola è trasformato ad un flusso di dati digitale che lascia un senso di vuoto umano non colmabile attraverso uno schermo e nelle poche ore concesse ufficialmente.
L’isolamento individuale, che il ritmo della società impone, è esteso all’intera vita: dalle 22 alle 6 chiusi in casa (per chi la ha) e gli spostamenti ridotti ad aree geografiche ben precise.
Le decisioni prese da un gruppo molto ristretto di persone che, con l’autorevolezza dell’uomo politico e l’oggettività di quello tecnico-scientifico, preparano pacchetti di disposizioni che noi dobbiamo rispettare dalla A alla Z. Solo così, dicono, usciremo finalmente dalle crisi sanitaria, economica, ambientale.
Per tenere salda la presa hanno un sostanzioso aiuto dai media in loro possesso che, ogni giorno, ci confondono con notizie contraddittorie. Nascondendo e manipolando la realtà dei fatti ci limitano la possibilità di ragionare su dati reali e trovare così delle possibilità di azione, legandoci ad uno stato di perenne ignoranza e dipendenza.
L’incantesimo però è molto fragile e come è da sempre, per evitare che si rompa, impiegano militari e polizia a sorvegliare le loro manovre e impedire che vengano ostacolate. Per far passare come necessario questo dispositivo di repressione e per sottolineare la straordinarietà del momento proclamano a gran voce: Siamo in guerra (contro un nemico invisibile).
E si sa, la guerra è uno stato d’eccezione in cui ogni mezzo serve per sconfiggere il nemico che a seconda del contesto muta forma e provenienza: il virus cinese, persone con lineamenti e lingue diverse dallo standard “made in Europe”, chi infrange la legge per poter sopravvivere, chi cerca di sfondare il muro di menzogne che viene dato come verità ufficiale.
Molti nemici molto onore diceva Benito Mussolini che amava la guerra a tal punto da mandare contadini e operai ad ammazzare (e farsi ammazzare da) altri come loro; mentre lui comodo e tranquillo godeva con i suoi amici dei frutti delle razzie. Come lui nessun capo di stato ha fatto eccezione.
Anche oggi comodi e tranquilli nelle loro belle ville: politici, industriali, alti burocrati, ufficiali militari lasciano volontariamente morire migliaia di persone per arricchirsi sempre di più. Queste responsabilità non possono essere ignorate.
Gli interessi di queste persone, che per ricoprirsi di importanza si danno il nome di Stato italiano, non sono gli stessi di chi si arrangia per sopravvivere in modo dignitoso.
Anche questo è sempre stato così e non cambierà niente se continuiamo a rimandare il problema nella speranza che andrà tutto bene.
Nessun orizzonte roseo ci aspetta se certi meccanismi e apparati di potere continueranno ad esistere e siamo noi, qui e ora, a doverci costruire il nostro futuro.
Non dobbiamo aspettare un condottiero o un profeta che ci guidi dove più lui ritiene giusto ma insieme possiamo liberarci dalle catene ideologiche e materiali per costruire pezzo dopo pezzo una vita felice.
La nostra libertà non finisce dove inizia quella di un’altra persona ma intrecciandosi insieme diventano più forti.